Ho apprezzato davvero tanto che Mara Fullin, una delle più grandi giocatrici a livello nazionale e non solo, abbia accettato di far parte della mia cordata nel rivivere la storia della pallacanestro femminile, regalando agli amici del Geas una bellissima pagina: la sua vita cestistica. Non ho dato indicazioni a Mara, ma solo qualche linea guida sulle quali potersi esprimere liberamente. Le ha trasformate in un autostrada tanto sono ricche, la ringrazio per la sua grande disponibilità e generosità.
Quanto ci racconta, praticamente la sua vita cestistica, le sue emozioni, i suoi ricordi, sono un’esplosione di passione per il basket. Tra le righe ci sono anche molti consigli per le giovani: sarebbe bellissimo che le nostre ragazze stampassero questa pagina bellissima e, di tanto in tanto tornassero a rileggerla, la troverebbero sempre nuova e ne trarrebbero sempre nuovi e stupendi contenuti per arricchire la loro passione cestistica.
E ora la parola a Mara Fullin.
“Sono nata a Venezia nel 1965, iniziai a giocare a minibasket a 8 anni nella mitica Laetitia alla Madonna Dell’Orto; molti veneziani che hanno fatto della loro vita la pallacanestro sono usciti da lì: gli arbitri Stefano Cazzaro e Marco D’Este, il coach Frank Vitucci, i giocatori Aldo Seebold, in seguito pivot della Reyer, Marco Greco, Paolo di Prima e persino un ottimo e famoso scrittore, Antonio Scurati. Mi trasferii in seguito allo Junior Basket San Marco a Mestre con l’allenatrice Adriana Bovolato, molto desiderosa di far partire un settore femminile della società. Disputai con San Marco il campionato giovanile della mia età e quello di promozione.
All’inizio si giocava al campetto all’aperto in Viale San Marco, passammo poi alla palestra Coni di Via Olimpia per approdare, infine, al Palazzetto del Taliercio dove giocavamo in anteprima alle gare della Superga Mestre, che partecipava al campionato di Serie A maschile. La squadra della terraferma veneziana, allenata da Massimo Mangano e Santi Puglisi, annoverava tra le sue fila giocatori del calibro di Mark Campanaro, Gianfranco Dalla Costa e tanti altri. Da sportiva ammiravo questi campioni, anche se sono sempre stata una reyerina a 360 gradi.
Nel 1980 passai a Vicenza dove avvenne il mio debutto in serie A, naturalmente percorrendo prima tutta la trafila dei campionati giovanili. L’allenatore era Guglielmo Roggiani, con assistente Roberto Galli. A metà stagione a Roggiani subentra Franco Giuliani; perdiamo la finale dei play off contro il Pagnossin Treviso, ma la conquista dello scudetto è rimandata solo di un anno: andammo a vincere lo scudetto a Torino contro la Teskid sempre con coach Giuliani. Una felicità un po’ soffocata in quanto ad Aprile venne a mancare mio papà, che tanto avrebbe tenuto a vedermi vincere; lo scudetto fu sicuramente dedicato a lui come tutte le altre mie vittorie in carriera: se ho raggiunto così tanti traguardi sportivi lo devo a lui e, naturalmente, a mamma Gina che, quando avevo 15 anni e mezzo, hanno agevolato la mia passione cestistica, permettendomi di andare a giocare lontana da casa.
L’anno seguente giunge sulla panchina della squadra berica un nome altisonante proveniente dal basket maschile, Piero Pasini. Con lui Vicenza vince la prima Coppa dei Campioni in finale proprio al Taliercio di Mestre contro le tedesche del Duesseldorf: non potete capire la grande gioia che ho provato nel vincere la coppa nel campo che mi aveva vista bambina. L’anno dopo Roberto Galli diventa capo allenatore: perdiamo la finale di Coppa Campioni a Budapest contro il Lewsky Sofia, ma vinciamo lo scudetto contro Milano. Alla fine di questa stagione mi richiede Viterbo allenata da Aldo Corno; quando decido, con molta difficoltà, di lasciare Vicenza per Viterbo, arriva una notizia che mi coglie di sorpresa, e mi riempie di gioia: Aldo Corno è l’allenatore di Vicenza per l’anno sportivo 1984-85. A questo punto mi dico: “Se il coach mi ha richiesto a Viterbo, ma ora è a Vicenza, di certo mi vorrà nella sua nuova squadra… e così è stato”.
Se devo parlare degli allenatori che hanno accompagnato la mia carriera, devo dire che tutti sono stati importanti per la mia crescita tecnica: da ognuno ho acquisito valori, insegnamenti che mi hanno fatto diventare la giocatrice che sono stata. Aldo Corno è arrivato nel momento in cui ero un po’ in difficoltà, e sicuramente mi ha dato molta fiducia, vale a dire minuti di gioco, quindi mi ha aiutata ad uscire da un periodo buio, momento che tutti gli atleti affrontano, prima o poi. Il mio approccio al grande basket è stato facile perché subito le Grandi giocatrici mi hanno preso sotto la loro ala: Wanda Sandon, Lidia Gorlin, Valentina Peruzzo e tutte le altre. Sono state subito di grande esempio perché ogni allenamento era affrontato con serietà, applicazione e intensità. Nelle ore di allenamento non c’era molto spazio per ridere, cosa invece che nello spogliatoio era la regola. Si scherzava sempre, e per fortuna non c’erano i telefonini, altrimenti non ci saremmo mai conosciute a fondo come è stato. Ci parlavamo di tutto, ci confidavamo su tutto e soprattutto noi giovani avevamo proprio bisogno dell’appoggio delle Grandi (mi piace come Mara scriva la parola Grandi sempre con l’iniziale maiuscola, ndr).
Il mio esordio nella massima serie fu causato da un brutto infortunio che subì al naso Lidia Gorlin, cosa che la tenne fuori dal campo per più di un mese: così venni catapultata subito in campo in serie A. Durante la prima partita mi sembrava di essere sulle montagne russe, non capivo niente dalla velocità con la quale veniva eseguito tutto. Di errori ne ho fatti tanti ma sono serviti eccome… Trovarmi a 15 anni e mezzo in serie A e giocare credo proprio sia stata la mia fortuna ed un ottima premessa per la carriera che ho avuto in seguito… Ogni compagna di squadra è stata determinante per tutti i risultati che abbiamo raggiunto e per la mia crescita tecnica, tutte hanno avuto un ruolo fondamentale: chi per capacità tecniche, chi per caratteristiche umane e morali. Il carisma di Lidia Gorlin, l’umiltà di Wanda Sandon, che nel suo ruolo ha sempre preso tante botte e non l’ho mai sentita lamentarsi, se non nello spogliatoio, dove con un sorriso diceva: “Quante che ghe ne go ciapà ancò” (Quante ne ho prese oggi…). Ancora non ho fatto il nome di Catarina Pollini: eh… be’… Cata… non posso negare quanto siamo state unite, pur con due caratteri completamente diversi. Per nove stagioni abbiamo giocato insieme, vincendo tutto, dai campionati giovanili agli scudetti in serie A, alle Coppe dei Campioni, per poi ritrovarci d’estate ad indossare la maglia azzurra, giocando i vari campionati europei cadette e juniores, poi con la nazionale A Europei, Mondiale e due Olimpiadi: 1992 Barcellona e 1996 Atlanta.
Quando Vicenza decise di cederci, a nostra insaputa, nel 1989, fu un momento molto difficile per entrambe: ci ritrovammo lei a Cesena ed io a Como. Giunta in riva al Lario nel 1989, ero da un lato determinata a cogliere la nuova opportunità cestistica, per provare a vincere lontana dal Veneto, dall’altra molto triste perché mi mancavano le mie “vecchie” compagne di squadra. Una realtà completamente diversa, un allenamento al giorno dalle 20 alle 22 per me era impensabile, la maggior parte delle giocatrici lavorava, quindi decisi anche io di trovarmi un impiego per non stare ad annoiarmi tutto il giorno; andai così a lavorare in uno studio commerciale e fu così per due anni.
Il primo anno a Como allenava il piemontese Gaspare Borlengo: perdemmo la finale scudetto in gara 5 in casa contro la Conad Cesena, mentre l’anno successivo, con Guido Cantamesse, perdemmo in finale di Coppa Ronchetti contro la Gemeaz Milano, ma vincemmo lo scudetto sempre in gara 5, questa volta in casa della Conad Cesena.
L’anno seguente, il mio terzo a Como, arriva Aldo Corno con una richiesta a noi giocatrici: naturalmente ognuna era libera di scegliere se aderire o meno. Corno vuole dare, come tipico del suo modo di lavorare, un aspetto professionale alla società e alla squadra, proponendo due allenamenti al giorno. Ma, ahimè, erano molte le compagne che avevano un impegno lavorativo. E tuttavia alla fine tutti decidiamo di seguire la proposta del coach.
Ritrovai con l’avvento di Aldo Corno quello che avevo lasciato a Vicenza, la mia pallacanestro a 360 gradi! È banale dire che ero felicissima, perché tornava un pezzo della mia Vicenza a Como, se vogliamo anche gli affetti, perché anche con Antonella Ferrante, ex ottima giocatrice e moglie di Aldo, avevamo ed abbiamo ancora oggi un bel rapporto di amicizia, anche se ora purtroppo solo a distanza. Non vorrei esagerare parlando di Aldo perché tutti gli allenatori nella mia carriera sono stati importanti: vero è che con lui sono stata tanti anni e mi è stato molto vicino, sia lui sia la sua famiglia, in un momento molto difficile e triste della mia vita. Quindi oltre alla parte tecnica e della fiducia che nutriva nei miei confronti, c’era un importante risvolto affettivo.
La vittoria più bella? Tutte le prime sono indimenticabili: il primo scudetto con i rispettivi club, la prima Coppa dei Campioni, la prima coppa Italia. Ma sono state quelle successive ad attirarmi in modo irresistibile perché mi dicevo: “La prossima sarà ancora più bella, perché vincere una volta si può anche riuscire, ma riconfermarsi è la cosa più difficile”.
La vittoria più inaspettata? Credo la semifinale di Coppa del Mondo per club a Campinas in Brasile contro le padrone di casa davanti a 6000 tifosi che per 40 minuti hanno ballato e cantato per la loro squadra, ma abbiamo vinto noi. Formidabile quel 1995, anche perché nella successiva finale contro le francesi abbiamo vinto ancora e così siamo tornate a casa con la Coppa del Mondo per Club.
Perché consigliare ad una ragazza di fare qualche sacrificio? Mi sono sempre reputata una privilegiata perché ho potuto fare quello che mi piaceva di più in assoluto, venendo retribuita e girando il mondo. Il sacrificio più grosso è stato quello di lasciare la famiglia. Una ragazza che voglia cominciare questo percorso deve avere innanzitutto passione e andare giocare a basket per prima cosa per divertirsi. Utile avvertenza: seguire sempre i consigli dell’allenatore o allenatrice, anche se talvolta si pensa di non essere d’accordo; si impara ad avere pazienza, a tollerare, a volersi bene, a condividere gioie e anche dolori, ci si fortifica. E poi direi a questa ipotetica ragazza: “Se hai talento, non accontentarti, ALLENALO”.
Vicenza e Como: ho giocato in due grandi squadre: una, come il primo amore, non si scorda mai; l’altra è una squadra che ho visto crescere. Di anno in anno; la Comense ha vinto perché ha raggiunto una professionalità, un’applicazione costante negli allenamenti: impensabile, a quei ritmi, farne uno solo al giorno. Tutta la squadra ha capito che solo attraverso il lavoro in palestra si potevano raggiungere i risultati che poi sono arrivati, e soprattutto ci siamo potute conoscere: non si può vincere se non conosci le tue compagne di squadra e conoscersi non vuol dire andare per forza d’accordo con tutte, ma tirare fuori comunque tutte le qualità tecniche e morali quando ce n’è bisogno. Voglio sottolineare, come merito della società, quello di aver seguito ed assecondato Aldo Corno nella sua mentalità professionale di intendere lo sport e facendo di tutto perché Como avesse un signor palazzetto, il “Palasampietro”, a nostra completa disposizione, uno staff di prima qualità sia dal punto di vista tecnico, che per tutte le altre mansioni collaterali e, soprattutto, giocatrici super.
Ho parlato pochissimo della mia esperienza con la Nazionale ma voglio ricordare il momento più emozionante: la cerimonia d’apertura dei giochi olimpici di Barcellona 1992, con l’accensione del tripode da parte di un tiratore munito di arco e freccia di fuoco che ha attraversato tutto il cielo dello stadio olimpico prima di trovare il braciere. Un momento che ci ha lasciate tutte senza fiato e che ha fatto scoppiare tutte noi giocatrici, in un pianto di commozione e di gioia”.
Concludo facendo un regalo a Mara con qualche riga che le ha dedicato Fabio Fossati, un allenatore che ha tracciato una stupenda traccia nel basket femminile italiano: “Quando si pensa a Mara non si può che avvalorare un concetto molto caro agli psicologi: che dicono ‘Gli allenatori scelgono i capitani, ma le squadre scelgono i leader’. Mara ha avuto una lunga carriera che si è sviluppata tra Vicenza e Como, i due club che a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 si sono scambiati il ruolo di squadre di vertice non solo in Italia, ma anche in Europa. Perché leader? Mara lo era all’interno di squadre con giocatrici di grande talento e personalità. Squadre che avevano bisogno di “leader dei leader”: Fullin con Ballabio negli anni d’oro della Comense si divideva il ruolo e l’onere di gestire con il loro esempio uno spogliatoio con atlete ricche di ego da protagoniste. I successi di Mara sono davvero da record; 15 scudetti, 7 Coppe dei Campioni, 4 Coppe Italia, un mondiale per club e molto altro. Quando si ha un palmares così importante il rischio è di perdersi qualcosa. Fullin è stata una delle giocatrici chiave nella Nazionale nel periodo in cui il basket rosa ha raggiunto i suoi migliori risultati. Quasi 200 presenze in Nazionale ne hanno solidificato e qualificato la sua leadership tanto che, terminata la carriera da giocatrice, ha ricoperto il ruolo di team manager della Nazionale stessa. Ultimo riconoscimento di una carriera stellare l’essere stata inserita nella Hall Of Fame del basket italiano”.
La sua carriera:
Giocatrice
Club
In Serie A ha militato con l’A.S. Vicenza e la Pool Comense, con le quali ha vinto quindici Scudetti, 7 Coppe dei Campioni, 4 Coppe Italia, una Adidas Supercup, un mondiale per Club e tre Scudetti giovanili.
Nazionale
Con la Nazionale vanta 199 presenze e 2.296 punti realizzati.
Si è ritirata nel 1998.
Ha ricoperto anche il ruolo di Team manager della nazionale.
Attualmente lavora e risiede a Cesena, dove allena le ragazze del Virtus Cesena 2010
Nel 2015 viene introdotta dalla Federazione Italiana Pallacanestro nella Italia Basket Hall of Fame, nella categoria atlete.
Palmarès
Campionato italiano: 15
Vicenza: 1981-82, 1982-83, 1983-84, 1984-85, 1985-86, 1986-87, 1987-88; Como: 1990-91, 1991-92, 1992-93, 1993-94, 1994-95, 1995-96, 1996-97, 1997-98
Coppe dei Campioni: 7
Vicenza 1983, 1985, 1986, 1987, 1988; Como: 1994, 1995
Coppa Italia: 4
Como: 1993, 1994, 1995, 1997
Supercoppa Italiana: 2
Como: 1996, 1998
Enrico Casiraghi