L’ingegner Azeglio Maumary (lo vediamo nella foto insieme a Mabel Bocchi) all’inizio degli anni ‘70 per qualsiasi sestese che fosse venuto a contatto con il Geas era l”“Ing”: Maumary era molto conosciuto per aver costruito molto nella Sesto San Giovanni del boom edilizio. Era anche un appassionato di ippica, trotto in particolare: titolare di una delle più importanti scuderie negli anni ‘60 e ‘70, guidava spesso personalmente i suoi cavalli in corsa perché era un provetto “gentleman driver”. Scoprì a Sesto il basket femminile, che si raffigurava, all”epoca, in una piccola squadra neopromossa in serie A e decise che si sarebbe dedicato con grande impulso a sostenere e supportare gli sforzi di quel gruppo di ragazze appassionate dello sport dei canestri. Sarà doveroso dedicare a lui, il più grande presidente della storia rossonera, un intero articolo di questa serie in una delle prossime settimane, per cui preferisco passare direttamente a quella stagione 1973-74 che definisco un po” “il casello dell”autostrada”: sì, proprio l”inizio di quel rettilineo che in pochi anni porterà la squadra sestese alla conquista del titolo europeo.
Si veniva dallo scudetto 1971-72 ed il presidente Maumary, dopo aver consolidato una squadra che ormai aveva raggiunto la supremazia nel campionato italiano, decise che era il momento di fare ottima figura anche in Europa. La cosa non era così facile, perché battersi ad armi pari, in quegli anni, contro le squadre stellari dell”Est, era scalare una montagna tutta di sesto grado superiore; Daugawa Riga, Sparta Praga, Politecnica Bucarest, Novi Sad, Spartak Leningrado stavano “qualche piano di sopra”, ma qualcosa si poteva fare per avvicinarle. A livello di italiane il Geas si presentava molto bene: Bocchi, Bozzolo, Agostinelli, Colavizza, Bordon, Costa garantivano già una buona base, ma ci voleva una straniera che desse loro consistenza e le prendesse per mano nell”esperienza europea.
Luisito Trevisan era stato l”allenatore che aveva costruito il Geas dalle fondamenta e l”aveva assemblato portando a Sesto le giocatrici che avrebbero potuto fare grande la squadra rossonera inserendosi al meglio nel suo tessuto. Ma, ahimè, nel progetto futurista di Azeglio Maumary all”ottimo Luisito mancava l”esperienza internazionale. E così, con una decisione che lasciò grande amarezza nel cuore di chi la dovette prendere, gli venne preferito Jaroslav Demsar.
Demsar era l”allenatore del Novi Sad, squadra jugoslava che annoverava tra le sue fila una delle migliori giocatrici europee: Marija Veger, che il tecnico avrebbe portato a Sesto. Demi e Marija erano in procinto di convolare a nozze, per cui il sodalizio sarebbe stato ancor più compatto.
Marija si rivelò subito la grande giocatrice che era, ma purtroppo poteva giocare solo le gare di coppa dei Campioni (in campionato non era consentito schierare straniere) e per tale motivo ne soffrivano la sua continuità agonistica e la sua voglia di cimentarsi in campo.
Purtroppo la pallacanestro che andava predicando Demsar veniva assimilata male dallo zoccolo duro Geas, sia dal punto di vista del metodo che prevedeva minima cura all”organizzazione di gioco (proprio l”opposto di quanto le ragazze erano state abituate con Trevisan), sia dal punto di vista umano: Demi non aveva alcuna intenzione di apprendere la lingua italiana, avvalendosi sempre di un interprete per comunicare con la squadra e con le singole giocatrici. Anche questo fatto fu alla base di un insuccesso totale del coach serbo che non terminò la stagione; la squadra fu affidata per gli ultimi mesi a Benito Samarati. L”avventura in Coppa Europa non durò molto ed il campionato vide il Geas al secondo posto: campione d”Italia la Standa Milano. È importante rilevare che, senza nulla togliere ai meriti della società milanese, il Geas giocò le partite più importanti del campionato senza Rosi Bozzolo infortunata ad un braccio.
Al di là di un lusinghiero secondo posto nella Coppa Ronchetti dietro allo Spartak Leningrado, l”annata 1973-74, partita con enormi ambizioni, lasciò la dirigenza sestese attorno ad un tavolo per capire come riuscire a ricostruire una squadra molto demoralizzata, al di là dei due punti in classifica che le avevano tolto lo scudetto dalla maglia. Bisognava ripartire trovando un allenatore: doveva essere innanzitutto molto valido dal punto di vista tecnico per far crescere il gruppo: molte giovani si stavano affacciando alla prima squadra ed avevano bisogno di un coach che infondesse loro fiducia per farle maturare e fosse anche capace di ricostruire il gruppo a livello psicologico dopo un annata totalmente negativa anche dal punto di vista della comunicazione: la scelta cadde su un tecnico giovane, uno di quegli apostoli di quella scuola romana che stava crescendo sotto l”ala di Giancarlo Primo: Claudio Vandoni. Claudio, romano, stava facendo ottime cose con l”Intercontinentale Roma di Bianca Rossi, Antonella Ferrante, Elide Riccobono, Tiziana Timolati.
Con loro aveva raggiunto un ottimo quarto posto nel campionato 1972-73. A Sesto fece un programma molto definito: per il primo anno decise di lavorare sulla difesa: era questo il verbo che correva in quegli anni, profetizzato da Giancarlo Primo e seguito dai suoi seguaci tra i quali lo stesso Vandoni. Il coach romano prese quella decisione proprio perché sapeva di guidare una squadra dall”alto potenziale offensivo.
Il lavoro sulla difesa richiede moltissima motivazione e Claudio seppe dare forma ad uno stupendo gruppo, molto compatto e determinato in campo e ricco di goliardia al di fuori. Era bellissimo veder giocare il Geas: la voce corrente alle partite nella palestra di via Leopardi era: “Se ha fatto una lavoro così buono con la difesa… chissà quando lavorerà sull”attacco”. Vandoni rimase al Geas tre anni, aggiungendo tre scudetti alla bacheca e spianando la strada del gruppo verso la conquista della Coppa Europa che era ormai vicina.
Mi è rimasto poco spazio: volevo parlarvi della gara di andata che giocai con la Standa contro il Geas al Palalido, proprio il 7 dicembre 1973, primo anno di Vandoni, ma la liquido in poche parole: Standa frastornata, sotto di 14 a metà del primo tempo (allora si giocavano 2 tempi di 20’), Bocchi e socie padrone del campo. Ero vice allenatore della Standa quell”anno, credevamo molto in quella gara, ma la consistenza del Geas frantumò le nostre certezze.
Enrico Casiraghi